Friday, November 05, 2004

Mi$$ioni di pace

«Tangenti per andare a Nassiriya»
Il Manifesto
Di : ALESSANDRO MANTOVANI
giovedì 29 luglio 2004


Militari denunciano: «Per mandarti all'estero a guadagnare il quadruplo chiedono un mese di stipendio. Era così anche per l'Iraq ma ora da lì si scappa». La Difesa: solo un caso isolato

ALESSANDRO MANTOVANI


Spunta un altro po' di marciume nelle pieghe della missione militare in Iraq e, in generale, nella gestione dei soldati che vanno all'estero. Uomini dell'esercito e delle strutture «territoriali» dei carabinieri parlano di un sistema di «raccomandazioni» con vere e proprie «tangenti», richieste da sottufficiali e ufficiali e pagate dai militari per poter partire. Tangenti per ottenere una raccomandazione. «Fino alla strage di Nassiriya - raccontano carabinieri e soldati che vogliono rimanere anonimi - era proprio così, ci si scannava per andare e molti pagavano. Dopo la strage, invece, alcuni sono stati quasi costretti a partire, mentre in Iraq c'è chi vuole scappare o si fa mettere in osservazione medica per non mettere il naso fuori dalla base.

Hanno paura». Prima di quel maledetto attentato poteva essere una missione come le altre: «Ho sentito di colleghi che hanno pagato un mese di missione per andare in Iraq: vuol dire quattromila e cento euro, l'equivalente di una diaria di 133 per trenta giorni». Così ha riferito un appuntato di un battaglione mobile di una regione del sud che dopo la missione si è rivolto al call center dell'Unac, l'Unione nazionale carabinieri nota anche per l'impegno sul fronte delle morti da uranio impoverito. Il tariffario delle tangenti è variabile: c'è chi parla di due mesi di missione, non uno solo, e chi si è sentito chiedere, anni fa, perfino venti milioni di lire. Altri negano tutto: «Mai sentito». Ma un brigadiere di una altra città meridionale ha fatto persino nomi e cognomi di graduati corrotti (o concussori?): «Due anni fa, ai tempi della missione in Kosovo, io non sono mai potuto partire, venivo sempre bloccato da Roma e non capivo il perché. E invece altri colleghi del mio stesso ufficio partivano direttamente, gente che non aveva fatto né visite mediche né un corso. Perché quelli sono i raccomandati, sono i colleghi che pagavano per partire».

Con parecchi particolari, ricordando il tentativo di andare in Kosovo, il brigadiere ha spiegato di essere stato indirizzato da un maresciallo che chiameremo «Tizio», in servizio nello stesso capoluogo, «uno che alzava la cornetta - racconta - e diceva `questo me lo devi mettere subito in partenza'». In un secondo momento, tramite un colonnello, si è messo in contatto con il maresciallo «Caio», che «è figlio di un appuntato in pensione e stava nella segreteria di un generale a Roma». «Mi ha chiesto venti milioni e so che un altro collega ne ha pagati cinque». Lui no, se n'è tornato a casa. Niente Kosovo: «A quel punto me ne andai e al rientro, all'interno dell'ufficio mio, ho sempre sputtanato questo fatto: `se io pago parto, se non pago non parto'. Dopo un po' di tempo richiamai quel maresciallo e lui mi disse `no no, con te non voglio più parlare...». Il problema esiste anche nell'esercito, come ha confermato un militare di stanza a Udine e intervistato da Rainews24, che oggi manda in onda un'inchiesta sull'argomento: «Nel '98, per un trasferimento di reparto, versai cinque milioni a un colonnello, gli feci addirittura un vaglia». Il militare ha conservato il bollettino.

Per l'esercito non sarebbe una novità assoluta. A dicembre del 2003 il colonnello Luciano Marinelli, comandante del«Cimic Group South» impiegato fin dal primo momento anche in Iraq, è stato arrestato a Motta di Livenza (Treviso) con le mani nel sacco, sorpreso dai carabinieri mentre intascava settemila euro, si disse come «prestito», da un tenente al quale avrebbe promesso una missione all'estero. In sette gli avrebbero dato 46 mila euro. Il tribunale militare di Padova, il 5 maggio scorso, l'ha condannato a due anni (pena sospesa) per truffa e peculato, ma l'ufficiale nel frattempo è andato in pensione con il grado di generale.

Allo stato maggiore della difesa non risulta nulla di più, specie in relazione all'Iraq: «C'è stato tempo fa quel caso di cronaca. Altri casi non ci risultano, sarebbe quindi il caso di non parlare genericamente di un fenomeno esteso o di massa». La vede diversamente l'onorevole Edouard Ballaman della Lega nord, firmatario di un'interrogazione al ministro della difesa in cui si chiede «se corrisponda al vero che alcuni militari siano stati soggetti al pagamento di tangenti per poter essere impiegati in missioni». Cadono dalle nuvole anche al comando generale dei carabinieri, con la precisazione che «queste situazioni potrebbero essere trattate a livello di comandi locali, senza alcun interessamento del comando generale. Non si può escludere nulla. Ma di sicuro se da noi c'è qualcuno che sbaglia, la paga cara». Si fa comunque notare che in questo momento, in Iraq, l'Arma utilizza soprattutto personale della II brigata mobile, la brigata «di proiezione» che raggruppa i reggimenti specializzati di Laives e Gorizia e i paracadutisti del Tuscania, mentre l'impiego di carabinieri provenienti dai comuni reparti territoriali è stato «ridimensionato». Furono però loro, non gli specialisti, a pagare il più alto tributo di sangue per l'attentato del 12 dicembre a Nassiriya.

«Le denunce che riceviamo sono tante - dice il presidente dell'Unac, Antonio Savino - Abbiamo anche chiesto un incontro al comandante generale Gottardo, che non ci ha mai risposto. Qualcuno ha presentato esposti alle procure militari, a quanto ne so non sempre in forma anonima». Il clientelismo nelle forze armate c'è, si parla spesso della gestione opaca degli alloggi militari - per alcuni vero e proprio «strumento di ricatto» - o dei trasferimenti nei reparti che offrono possibilità di far soldi e carriera. Tangenti e corruzione sono però un'altra cosa. «Bisogna distinguere le chiacchiere dai fatti concreti. Qualcuno può aver pagato per le missioni all'estero - dice una fonte dell'esercito - ma soprattutto in passato e in particolare per missioni tranquille come a Malta, in Libano o in Antartide, ignorate dai giornalisti e da tutti». Lì si guadagna di più, fino a dodicimila euro al mese per i gradini più bassi della gerarchia.

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